Un trojan Emotet, il ransomware BitPaymer e un’incursione diretta a danno del sistema hanno messo in ginocchio a inizio agosto gli apparati informatici del distretto di Matanuska Susitna e della cittadina di Valdez, entrambi in Alaska, proiettandoli indietro di più di mezzo secolo.
Con tutte e 500 le postazioni di lavoro infettate e 120 server inutilizzabili sui 150 delle due aree, operatori pubblici, imprenditori e cittadini comuni hanno dovuto recuperare le polverose macchine da scrivere del nonno o del padre e cominciare a battere sui tasti documenti, moduli, ricevute, lettere e messaggi.

Oltre al disagio nel presente, poi, un grave danno riguardante l’archiviazione delle informazioni sul passato, per coloro che non sono stati abbastanza prudenti da salvare i propri, preziosi file attraverso un sistema di cloud backup: un colpo di spugna che potrebbe seriamente fiaccare se non compromettere l’operato di privati, enti e associazioni.
Un luogo amico della prevenzione, il datacenter
Ma se quando si parla di cloud si fa riferimento a qualcosa di astratto e intangibile, evanescente quasi appunto come una nuvola formatasi nella rete grazie alla condensazione di una pioggia di dati e codici alfanumerici, esiste un luogo fisico in cui questo patrimonio digitale viene conservato, un posto in grado di dare la sicurezza di un supporto concreto da poter toccare con mano? Certo che esiste, e si chiama datacenter.
Solitamente dotati di chiusure ermetiche ad accesso controllato, in molti casi di caveau sotterranei nella miglior tradizione della tutela di oggetti di valore in una banca, questi centri di elaborazione dati dispongono di server, switch e router che necessitano di una struttura per essere disposti adeguatamente, così da risultare funzionali per i tecnici e al sicuro da eventuali urti.
In Italia, e via via con maggiori articolazioni commerciali all’estero, un’azienda di certo sulla cresta dell’onda nel delicato settore della produzione di armadi e cassetti rack 19”, cassetti plug-in e castelli rack per applicazione in elettronica, informatica e telecomunicazioni è senza dubbio Alutron.
Gli armadi rack di Alutron, solidità e sicurezza

Che ne sarebbe d’altra parte della favolosa macchina umana senza uno scheletro a sostenerla? Se ci poniamo questa domanda cogliamo, in effetti, l’essenza della produzione di questo marchio nostrano, che da oltre 40 anni ha fatto del più alto grado di competenza e professionalità nell’ambito dei contenitori per hardware la lingua con cui rivolgersi ad un mercato per propria natura in rapida, costante evoluzione.
Queste soluzioni di articoli meccanici di precisione si ramificano in una gamma che abbraccia dispositivi di serie, custom e integrati, in modo da rispondere positivamente ai desideri dei clienti più esigenti.
Nel caso dell’Alurack standard, prodotto sempre e comunque assai richiesto, si può davvero apprezzare in pochi istanti l’estrema perizia di un’architettura adatta alle più complesse apparecchiature hardware, creata, dalla progettazione sino all’effettiva realizzazione, in seno ad Alutron, sulla base dei principi dell’alloggiamento funzionale e della protezione da agenti esterni e impatti.
I telai sono composti da profili di alluminio estruso verniciato, e sono assemblati con perni di fissaggio rifiniti nei giunti da otto tappi dello stesso colore; le misure possono variare, così come l’attacco dei componenti interni, che può essere effettuato direttamente al profilo principale o avvalersi di profili interni ulteriori, realizzabili sia in alluminio che in acciaio.
Altro elemento che può mutare a seconda del modello è la porta anteriore, che può esserci o meno e, nel caso sia prevista, può mostrarsi come porta cieca in metallo o a vetro temprato di sicurezza, così da consentire di vedere gli strumenti allocati all’interno.
Caratteristiche tecniche che fanno dell’Alurack standard una risorsa davvero preziosa per qualunque gestore di datacenter e, di conseguenza, di chiunque voglia mettere al sicuro le proprie informazioni più delicate e importanti.